Qualità
della vita tra mercato del lavoro - disoccupazione - assistenza
Viaggio nel dibattito: disoccupati
per sempre?
Di Luigi Brembilla
La situazione della disoccupazione oggi sembra proprio senza speranza. Non si
intravedono soluzioni a .breve e medio termine. L'economia e il mercato oggi
spostano capitali, produzioni; ricercano nuovi mercati, nuove figure professionali,
importano nuovi modelli di lavoro; chiedono nuovi comportamenti, fanno, disfano
ecc. ecc.
Quale "etica"? Quali "regole"? Quali "obiettivi"?
Quali "limiti"? Difficile dirlo. Di fatto è possibile solo
in parte leggerne a posteriori gli effetti. Sembra più un meccanismo
anonimo senza testa, che si autoestende; scavalca frontiere, culture, cose e
persone. In effetti è un sistema di idee, di cultura scientifica, di
strutture, di gruppi, di persone che con atti, comportamenti, scelte, operano
sul mercato economico. Si dice che le vecchie ideologie ottocentesche, "organizzative
della società", siano morte, di fatto è morto il comunismo,
ma il capitalismo che fine ha fatto? Pochi ne parlano, ma l'economia di mercato,
la concorrenza, la de regolamentazione nei rapporti, da quali ispirazioni ideali
provengono? E la politica? Purtroppo oggi la politica, il pensiero politico
e sociale sono alla finestra, alla meno peggio tentano di curare le distorsioni
del sistema. Vedi leggi compensative, perdita di guadagno, assistenza, ecc.
Ancora insisto, quali i "fondamenti" per tutto questo? Quali costituzioni
e istituzioni di indirizzo e governo? Sarà lo sviluppo? Quale sviluppo!!!
Sarà il benessere? Quale benessere!!! I governi nazionali? Gli organismi
internazionali? Convenzioni internazionali? Troppo deboli, sempre in ritardo.
Ci troviamo di fronte ad un "sistema" che determina i comportamenti,
anticipa istituzioni e organizzazioni sociali. Quale organizzazione politica
o sociale gode di tanta libertà e potere tanto da operare, con tempi
e modalità uniche, da un capo all'altro del mondo? Se la politica di
pianificazione è fallita, credo che senza "regole fondanti"
e una politica di indirizzo, non si possa andare lontano. Sicuramente gli "interessi"
individuali e collettivi, sono un buon motivo per operare, per porre in atto
comportamenti produttivi di sviluppo economico e relazionale. Ma quando gli
interessi di qualcuno negano o minacciano gli interessi di altri, chi pone giustizia?
Il comunismo è fallito con la negazione dell'individualità, della
persona che agisce, delle classi con i loro interessi. Ma delle persone disoccupate
frutto di "scarti di produzione" del sistema economico e produttivo,
chi se ne prende cura? Solo sistemi riparatori di previdenza o assistenza esterni
al processo produttivo . Leggendo a posteriori gli effetti di questo modello
economico si intravedono comportamenti di adesione da una parte, insicurezza
ed esclusione dall'altra. Non ci sono grandi possibilità di scelta e
di azione. Produzione e consumo elementi base dell'economia sono diventati momenti
di vita fine a se stessi.
Il cambiamento dei valori in campo sta determinando il cambiamento dei comportamenti
collettivi.
- Il profitto, da condizione di movimento per qualsiasi attività produttiva
è diventato elemento "fondante" delle
stesse attività.
- Il possesso ed il consumo di beni e servizi: indice di benessere e prestigio
sociale.
- La monetizzazione a scapito della motivazione è ormai la legge dell'operare.
- La "forza lavoro", le persone, sono oggi elemento interscambiabile
con le macchine.
- La produzione e non la risposta al bisogno è l'oggetto del lavoro.
Tutto questo porta a grande confusione, insicurezza, esclusione senza che la
persona possa "agire" con possibilità di scelta. Quali le condizioni
per un rientro nel mercato del lavoro? La competenza!!! Competenza che descritta
dal mercato sociale" e declinata come voglia di lavorare, flessibilità,
adattamento allo stress, responsabilità ...
Anche qui vengono usati termini con ambiguità. La voglia di lavorare
La flessibilità La resistenza allo stress La responsabilità, non
sono competenze.
Competenze: processi di conoscenze e abilità
Più concretamente, la voglia di lavorare, la flessibilità, la
responsabilità sono aspetti di personalità legati più a,
processi di motivazione allo "scopertine/copo", al "senso", all'orientamento
alla vita", all'intenzionalità delle azioni, alle scelte, meno agli
apprendimenti cognitivi e di abilità. Le competenze sociali sono altro.
Quali orientamenti allo scopertine/copo, alla vita, possono suscitare "motivazione"
in persone escluse dal mondo del lavoro e senza, formazione, offerte di "lavori
a termine", poco confacenti alla persona più alle macchine, con
mansioni insignificanti e predeterminate, decisamente caratterizzati da precarietà
più che flessibilità, ecc. ecc. e magari con salari inferiori
ai fr. 15.-- l'ora? Credo proprio nessun orientamento allo scopertine/copo. Non sono forse
"pretese" quelle che vorrebbero le persone adattarsi con facilità,
flessibilità, responsabilità ad offerte di lavoro ritenute "
ineluttabili, necessità di mercato", m che sostanziale mente sono
"fuori mercato", "senza speranza" e "senza fu turo"?
Si insiste molto sul cumulo di "svantaggi" che le persone disoccupate
sommano rispetto alle "necessità" degli attuali processi produttivi.
Non si fa cenno sul cumulo di svantaggi che le stesse aziende o settori produttivi
oggi hanno rispetto al mercato globalizzato. Pretendere che una persona in Ticino
possa lavorare con modalità e stipendi da Paesi terzi, credo sia veramente
un grosso problema di prospettiva economica e produttiva, di credibilità
e affidabilità aziendali, di mancanza di futuro e di giustizia. Quanto
può durare un processo produttivo che pensa di competere con la diminuzione
degli stipendi sotto la soglia del costo della vita? Sicuramente altri soggetti
e imprese sono già pronte per usufruire di costi di lavoro molto inferiori
a questi. La diminuzione dello stipendio potrebbe essere possibile solo all'interno
di patti "sociali", dove le componenti: imprese, sindacato, Stato,
progettano insieme un percorso ... uno scopertine/copo ... un orientamento ..., una volontà.
Qualcuno ha mai fatto una valutazione sul valore minimo di scambio fra domanda
e offerta di lavoro subordinato, senza formazione ma con alta flessibilità,
alta affidabilità, in Ticino oggi? E' possibile che gli stipendi proposti,
siano inferiori alle misure di disoccupazione e assistenza? Qual'è lo
stipendio minimo in Ticino, rapportato al costo della vita? Non credo che i
salari di inserimento assistiti, siano oggi così alti da essere "superati"
al ribasso dagli stipendi o dal costo della vita. Se così fosse sarebbe
indispensabile provvedere alla diminuzione delle previdenze sociali. Per tutto
questo credo che ci siano motivi validi per approfondite riflessioni politiche
ed economiche. Applicando la logica di mercato, queste proposte non potremmo
che scartarle a priori, come non interessanti, non soddisfacenti, non sufficientemente
remunerative, in perdita, senza profitto. Perché un disoccupato dovrebbe
accettare queste proposte di lavoro? Per quale logica? Per quali motivi? Quali
orientamenti allo scopertine/copo? Quali patti di concertazione alle scelte? È
difficile possedere un'altra logica. Con difficoltà assumersì
il proprio bisogno e il bisogno dell'altro. Con difficoltà ci si può
rapportare con le proprie opportunità e ì propri limiti. Con difficoltà
fare scelte di vita diverse dalla riproposìzione di modelli e comportamenti
della propria storia e del proprio vissuto. E perché mai questo dovrebbe
essere possibile e facile a persone già di per sé in difficoltà?
Povertà culturale, povertà professionale, povertà sociale,
sogno gli elementi caratterizzanti la complessità della disoccupazione
di lunga durata e senza qualifica. Il Ticino oggi impiega manodopera estera
per circa 30.000 unità (personale con permessi brevi e personale frontaliero).
La disoccupazione è di circa 12'000 persone. Un travaso della disoccupazione
nel blocco dei permessi dì lavoro potrebbe risolvere il problema. Sicuramente
insorgerebbero quegli imprenditori che negli stranieri hanno trovato specializzazioni
non presenti in Ticino e flessibilità , affidabìlità e
cultura aziendale che i nostri disoccupati non mostrano di possedere. Se la
disoccupazione viene considerata nella sua globalità "zoccolo duro",
cioè con persone problematiche, con piccoli "handicap", non
competitivi, svantaggiati, senza voglia di lavorare, come mai siamo passati
dall'1-2 di 10 anni fa all'8% di oggi? Quali "valori" o "meccanismi"
in campo per giustificare tanta esclusione? Quale sviluppo? Quale progresso?
Quale fallimento o quale virus? Di persone disoccupate non più proponibili
al mondo della produzione ce ne sono, ma non costituiscono la disoccupazione
nel suo insieme. Credo invece che molta della voglia di lavorare, della affidabilità,
ecc. degli stranieri stia anche nel fatto che fr. 15.-- l'ora guadagnati in
Ticino e vissuti e motivati per esempio ìn Italia, per non dire in Portogallo,
possano essere una incentivazìone sufficiente alla attivazione e alla
responsabilità.
La "cultura aziendale" si costruisce con azioni motivanti, coerenti,
credibili, trasparenti e condivise nel tempo. La cultura aziendale è
una "concertazione" di interessi. La cultura aziendale si costruisce,
si forma e si fonda nell'azienda stessa, con processi formativi di competenza,
di condivisione, di scambio, di relazione e di responsabilità. Oggi purtroppo
la logica del mercato riduce tutti i tempi. Tempi di investimento, tempi di
profitto, tempi di produzione, tempi di innovazione, tempi dì inclusione,
tempi di esclusione. Tutto corre molto in fretta. Non c'è tempo per la
formazione, resta solamente il, tempo per l'addestramento alla competenza.
Le persone non sono soldi, macchine, materie prime. Le persone crescono e cambiano
con i tempi dell'azione libera, dell'assunzione di responsabilità nelle
attività di "senso", non nell'adeguamento e rassegnazione a
cose ineluttabili, costrittive, predeterminate, incomprensibili, senza senso.
Per questi motivi e poiché non esistono sufficienti possibilità
di "cultura" del lavoro, credo che per molti disoccupati di oggi non
ci siano prospettive a breve e medio termine. Anche i Programmi Occupazionali
stanno diventando sempre di più spazi di lavoro obbligato. Offrono sempre
meno contatti diretti con la motívazione al fare, alla scelta, alla formazione,
all'orientamento al "senso".
Un Programma Occupazionale oggi non offre più alcuna possibilità
per un riconoscimento di "lavoro pregresso". Quindi, lavorare in un
Programma Occupazionale non è più "lavorare". Non offre
più la possibilità di riaprire un periodo quadro come un lavoro
"vero". Non essendo più un lavoro "vero" anche lo
stipendio si è adeguato e diventa una indennità. E il "senso"
di tutto questo? Difficile dirlo; sembra sempre più un non "senso";
sembra sempre più una costrizione o un meccanismo contabile in "favore"
di chi e che cosa, non si sa bene. Non certo per accrescere responsabilità
e motivazione. Se le aziende lamentano scarsa responsabilità e affidabilità,
nei Programmi Occupazionali questo problema si sta ingigantendo. La cultura
del non "senso" entra anche nelle misure "attive". Misure
"attive senza senso" credo sia il massimo della espressione della
contraddizione del sistema economico, politico e sociale. Finite le misure "attive"
della disoccupazione LADI, si passa alle prestazioni assistenziali LAS. Fino
a quando il concetto base delle prestazioni assistenziali sarà un "prestito",
o meglio, un "debito" cumulato dalla persona in assistenza? Perché
ad una persona in difficoltà non si deve offrire una possibilità
di "guadagnare" le prestazioni assistenziali? Quindi di ri lavorare?
Di riprendere? Di riorientarsi? Di riattivarsi? Di riguadagnare uno stipendio,
un ruolo sociale, una stima, un'identità e perché no, la voglia
di lavorare? Credo che la differenza tra "cumulo di debito" e "guadagno
di prestazioni" sia sostanziale. Cioè sia direttamente proporzionale
al valore di "senso" di esistenza, di relazione, di responsabilità,
di voglia di fare che ogni persona può attivare anche per il fatto di
esistere, quindi di essere, di essere con altri. Solo con valori condivisi e
azioni libere e coscienti noi possiamo dare economicità, giustizia, reciprocità
ai processi di assunzione e risposta ai bisogni dell'uomo. Quindi scelte, produzioni,
scambi, consumi, oltre la prevedibilità, la prescrittività, il
vincolo, la normativa, ma dentro valori, concezioni, e azioni ETICHE: della
persona, dell'impresa, della società.